domenica 27 giugno 2010

Mark Menozzi – The King. Il Re Nero

In attesa che il portale Dragons' Lair pubblichi sia la recensione del romanzo che l'intervista all'autore, riporto entrambe sul mio blog, giusto per non dare l'idea che non stia facendo niente in questo periodo, con la scusa della tesi!
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Pensate al tipico libro fantasy di un autore italiano emergente, alla copertina brossurata con il drago dallo sguardo truce o l'elfo in posa “die hard”. Ebbene, “Il Re Nero” si presenta diverso già dal packaging: copertina rigida con decoro astratto, sovracoperta con un bel ritratto del protagonista, bordi delle pagine colorati, e comunque lo giri, tutto si presenta nero (per ovvi motivi!). Anche se potrà sembrare un dettaglio secondario, la cura estetica del prodotto rappresenta, a mio avviso, un valore aggiunto. I libri costano tanto, si sa, se almeno la confezione è piacevole e invitante, si percepisce un'attenzione nei confronti del cliente/lettore.
Ma apriamolo questo libro e vediamo cosa ci racconta e in che modo (rimando alla scheda sul sito dell'editore per la scheda: http://www.fazieditore.it/scheda_Libro.aspx?l=1298).
Intanto tiro un sospiro di sollievo già dalle prime righe, quando mi rendo conto che è scritto bene, non come scriverebbe un Baricco o un Martin, sia chiaro, ma lo stile è scorrevole e le pagine si sfogliano senza intoppi. Storco il naso di fronte ai parecchi refusi (ad esempio soggetti errati o scambiati), alle virgole di troppo che spezzano il ritmo, ad alcune ripetizioni notevoli (la parola “celato” che compare ben quattro volte a pagina 36!), a frasi decisamente poco chiare o errate ("Sirasa si guardava terreo in viso", pag. 475) e mi chiedo se il mondo dei piccoli editori si trovi costretto a fare a meno di un buon editor, relegando la revisione a qualche volonteroso collaboratore.
Nonostante questo, come ho già accennato, il romanzo si lascia leggere ben volentieri e ci si addentra in un mondo che ricalca gli stilemi del fantasy classico (quello di Tolkien per intenderci), ma con quegli aggiustamenti e quelle aggiunte che rendono Valdar una realtà decisamente ricca e piena di sorprese.
Se da una parte abbiamo i sempre superlativi elfi divisi nelle sempre presenti tre sotto-razze (e comincio a chiedermi se sia ormai un cliché veramente inevitabile) e le etnie umane che ricalcano quelle del mondo reale (gli Ardanar a est somigliano ai nostri orientali, i Warantu del sud agli africani, ecc), dall'altra abbiamo un popolo goblin straordinariamente dipinto, con una dignità che ben raramente gli viene attribuita. Nota di merito: l'autore ci ha risparmiato l'ennesimo nano burbero piazzato apposta in mezzo al gruppo per rivestire il ruolo della macchietta.
A discolpa dei tanti archetipi classici, ormai venuti un po' a noia, c'è da dire che Valdar nasce come un mondo per un gioco di ruolo ed è quindi naturale che vi si trovino tanti elementi tipici del gioco stesso. Peraltro l'insieme risulta armonioso e per niente raffazzonato, a differenza di ambientazioni famose in cui ogni trovata viene data per buona fino a ottenere minestroni senza capo né coda.
Ho apprezzato tantissimo i piccoli dettagli, le note di colore e lo studio accurato degli equilibri del mondo narrato.
Per fare un esempio, viene citata a un certo punto la locanda “Covo dei Draghi”, quando fino a quel momento i draghi non sono mai stati menzionati. Si scopre poi che su Valdar gli Antichi Draghi sono ricordati come creature leggendarie proprie del folklore di quel mondo.
Il ritmo diviene poi più lento nell'ultima parte. Mi chiedo come mai si sia corso tanto nei primi capitoli, buttando così tanta carne al fuoco, per poi rallentare in tal modo verso la fine. Man mano che ci si avvicina alle ultime pagine, si avverte la fastidiosa sensazione di tante parentesi che non verranno chiuse (e che la presenza di un seguito non giustifica del tutto).
Vorrei dilungarmi ora su alcune osservazioni (soprattutto critiche) riguardanti lo stile.
Per prima cosa: troppi, troppi, troppi flashback. L'autore ne abusa, nonostante l'utilizzo comunque dignitoso. E' vero che questa tecnica permette di introdurre nuove scene in modo rapido e d'effetto, ma il suo utilizzo non deve mai essere indiscriminato o rischia di perdere la sua efficacia se non di risultare fastidiosa.
Una nota dolente sono poi i famigerati dialoghi in cui i personaggi si spiegano tra loro cose che sanno entrambi benissimo. E' una brutta pantomima che si ripete con triste cadenza nei romanzi degli esordienti (ma non solo!). Citando il blog Gamberi Fantasy (http://fantasy.gamberi.org/): «Personaggi che parlano al lettore invece di parlare tra di loro. Un errore classico: l’autore vuole informare il lettore su particolari che ritiene necessari per la storia e mette queste informazioni in bocca ai personaggi, che sia verosimile o no. È quello che i manuali inglesi chiamano: “As you know, Bob…”» (Manuali 2 – Dialoghi). A questo si aggiunge purtroppo l'immancabile spiegazione del cattivo di turno, che deve far comprendere a tutti i costi le proprie intenzioni ai malcapitati personaggi.
Per finire, ecco un paio di frasi (pescate a titolo d'esempio) che non dovrebbero mai comparire in un testo (quanto meno in un testo che sta leggendo la sottoscritta!) e che denotano, più dei piccoli refusi, la mancanza di un vero editor:
  • Il Varco squarciò il tessuto stesso della realtà (pag. 351) – frase abusata e ormai priva di qualunque effetto (fatevi un giretto su Google cercando “il tessuto stesso della realtà”)
  • Lo sciamano, Sirasa, era pallido come un cencio (pag. 374) – come può un uomo dalla pelle nera diventare pallido come un cencio? Al di là del significato della similitudine, come si può immaginare una scena del genere? L'autore c'è riuscito veramente o avrà scritto di getto senza stare a pensarci?
Se posso essere sembrata estremamente critica nei confronti dello stile, è perché in realtà il romanzo mi ha entusiasmata e l'ho ritenuto meritevole di una recensione accurata e completa.
Era da tanto tempo che non leggevo un fantasy capace di catturarmi e incantarmi in questo modo, portandomi a sfogliare gli ultimi capitoli in piena notte incapace di distaccarmi dallo svolgersi degli eventi. La trama è complessa e ben congegnata, i contenti studiati con cura e i personaggi, nonostante le osservazioni iniziali sui cliché, niente affatto banali. Ognuno di essi vive di una personalità chiara ma intrigante e gli stereotipi sfumano in personalità ben caratterizzate, capaci di sorprendere ed emozionare.
Faccio quindi i miei complimenti all'autore e concludo con una nota: ho apprezzato moltissimo il glossario in fondo al libro, l'ho trovato decisamente un'ottima idea, ma attenzione perché il rischio di spoiler durante la lettura è elevato!