domenica 27 dicembre 2009

Mauro Saracino - La casa del demone


Questa volta scriverò la mia recensione prendendo spunto da quella scritta da Alessandro Girola sul suo blog: Recensione: La Casa del Demone (di Mauro Saracino). Qui potete trovare la trama e un commento che voglio integrare e, in parte, controbattere.

Riguardo ai pregi, sono in buona parte d'accordo con Alessandro.
Lo stile di Mauro è molto piacevole. Il romanzo scorre veloce e diverte senza cadute di ritmo notevoli. Non c'è mai una frase di troppo, mai una descrizione non funzionale, buttata lì per allungare il brodo.
Soltanto nella parte centrale ho accusato un calo di tono. Se fino a quel momento sembra quasi un racconto in prima persona, tanto il punto di vista è centrato sul protagonista, poi l'inserimento di altri personaggi e una maggiore complessità della trama portano il lettore a distaccarsi, a subire la parte dello spettatore passivo invece che quella del "compagno spirituale" del protagonista. E' soprattutto l'approfondimento dell'ambientazione a rendere pesante questa parte, che peraltro non fornisce tutte le spiegazioni necessarie a comprendere a fondo alcune dinamiche del contesto narrativo.
La narrazione ricomincia poi a scorrere, anche se l'effetto iniziale è irrimediabilmente perduto a causa della compresenza di più personaggi.

Un punto su cui invece ho trovato discordanze notevoli leggendo i commenti di vari lettori riguarda la trama. Ammetto di essere una scarsa lettrice di horror (con alle spalle pochi romanzi e racconti di King e poco altro), ma "La casa del demone" mi ha divertita tantissimo, ha saputo creare quel sense of wonder di cui tanto si parla nella letteratura fantastica.
Probabilmente la mia sorpresa deriva proprio dalla mia scarsa cultura del genere, ma in ogni caso alcune pagine mi hanno spaventata e inorridita a sufficienza per ritenere questo libro un ottimo prodotto dell'horror nostrano (nonostante l'ambientazione estera).
I personaggi stessi sono stati una fonte di sorpresa. Il protagonista è eccezionale, il bestione rosso è altrettanto riuscito, così come il povero compagno di disavventure notturne, mentre altri mi sono sembrati un po' scialbi. Si potevano forse approfondire un po' senza per questo sacrificare il ritmo, anzi.

Riguardo ai tanti flashback, mi è sembrato un buon espediente quello di alternare i capitoli, in modo da aggiungere piccoli tasselli man mano che risultavano necessari per comprendere appieno la storia. Ma ritengo anch'io che alcuni di questi capitoli siano troppo lunghi, con dettagli a tratti eccessivi mentre alcune informazioni basilari continuano a latitare. Se da una parte viene mantenuta viva la curiosità del lettore su ben due fronti, dall'altro si rischia di distoglierlo troppo da uno dal filo conduttore principale della storia, mentre i flashback dovrebbero essere funzionali ad arricchire l'altra parte senza farla passare in secondo piano.

Non mi dispiace invece la "sequenza alla D&D". Una volta capito da che parte tirava il fumo, ho sfogliato le pagine stuzzicata dalla curiosità di scoprire cosa mi avrebbe riservato la stanza successiva! Ho terminato il libro alle 2 di notte dopo essere tornata dalla messa di mezzanotte di Natale. Non sarei mai potuta andare a letto senza sapere come andava a finire!

E una volta chiusa l'ultima pagina, sono rimasta letteralmente interdetta. Sospettavo un finale non consono, ma questo mi ha lasciata proprio senza parole e con un pelo di delusione. Per questo non ho potuto fare a meno di contattare l'autore per chiedergli se stesse veramente lavorando al secondo capitolo. Il fatto che sia già pronto e di prossima edizione mi può solo fare piacere. Non poteva mica finire così, eh!

Insomma, se non si fosse capito questo libro mi è piaciuto praticamente in toto. Vi ho trovato pochissimi difetti, molti dei quali appaiono in tutt'altra luce nell'ottica di una continuazione.
Per cui, rimango in attesa e rinnovo i miei complimenti a Mauro!

lunedì 21 dicembre 2009

Uberto Ceretoli - Il sigillo del vento


Comincio subito col dire una cosa: questo libro non mi è piaciuto. Non mi ha annoiata e non ritengo una perdita di tempo le serate trascorse a leggerlo, se è questo che state pensando.
Cercherò di spiegarvi perché lo ritengo un brutto libro e perché, allo stesso tempo, sono contenta di averlo letto.

Per una volta avrò un approccio abbastanza sistemico, perché vorrei riuscire a dare un panorama abbastanza ampio di un testo che ho analizzato sotto più punti di vista.
Sia chiaro, non voglio lanciarmi in alcuna critica letteraria feroce in stile Gamberi Fantasy, anche perché non ne avrei le capacità ma soprattutto l'intenzione. Premetto che non ce l'ho con l'autore né tantomeno con la casa editrice. Questo lavoro di analisi è servito a me per comprendere alcuni concetti sulla scrittura (buona E cattiva) e riporto il tutto qui perché magari qualcuno potrà trarne qualcosa di utile.

Allora cominciamo. Il primo impatto è un prologo dalle immagini poetiche e costruito con una similitudine dietro l'altra. La proprietà linguistica mi pareva buona, per cui ho ritenuto si trattasse di una scelta stilistica. Prima di arrivare alla fine della prima pagina, mi sono invece resa conto che l'autore ha fatto della similitudine un passe-partout. Ogni volta che deve descrivere qualcosa, ricorre a tale figura retorica. Mi sembra una brutta scelta: la similitudine ha un grande potere e va usata per colpire il lettore, non per costringerlo a continui paragoni mentali. Mi rendo conto che la tentazione di imbastire immagini di forte impatto sia sempre in agguato, ma bisogna saper rinunciare a una bella frase se è di troppo (sigh).

E' seguita una breve (brevissima) fase entusiastica in cui i cliché tipici del fantasy sembravano essere stati reinterpretati in modo furbo e originale. Mi è bastato andare avanti di poche pagine per rendermi conto che non solo tutti gli archetipi erano presenti senza molte variazioni, ma che il libro stava prendendo una piega decisamente spiacevole.
Di fatto, mi sono trovata a leggere la narrazione di una campagna di Dungeons and Dragons, cosa che non sarebbe male di per sé (ero in cerca di "becero fantasy" e D&D è il becero fantasy che mi piace!), ma quanto meno vorrei che fosse coerente e scritta bene.
Invece, non solo ho trovato incoerenze e assurdità vere e proprie (se un uomo-giaguaro ritiene un'umana poco attraente per via della diversità, perché mai un nano dovrebbe ritenere un'elfa la creatura più bella dell'intero universo?), ma ogni cosa sembrava tratta pari pari da un manuale di gioco.
Frasi come "incantesimo della palla di fuoco" e "lanciò su entrambi un incantesimo di levitazione", nani che pensano solo a cibo, birra e a incazzarsi con tutto e tutti, elfi belli, bravi e potentissimi, donne tutte bellissime e sensuali, ragazzini che imparano a combattere in un solo giorno di addestramento (soltanto in un caso questo viene giustificato) e via dicendo, tutto questo è un'accozzaglia di cose già viste e ritrite messe assieme senza ragionamento.
Molte frasi sono pressapochiste, le descrizioni sono costruite con una similitudine dietro l'altra e il lessico è generalista e poco incisivo, fatta eccezione per i campi in cui l'autore è esperto. In questi casi sciorina elenchi di termini specifici su armature e sistemi difensivi, per poi utilizzare parole del tutto generiche per tutto il resto. Stona talmente tanto che sarebbe stato meglio, a mio avviso, non scendere nel dettaglio neanche in quei contesti.

Riguardo allo stile, ho trovato invece irritante il sentirmi spiegare ogni singola cosa. Ogni dialogo è composto da una battuta in discorso diretto e relativa spiegazione, come se io lettore fossi troppo stupido per capire lo stato d'animo del personaggio che sta parlando. Forse l'autore ha paura di non essere stato troppo chiaro? Ma si possono scrivere 600 pagine sempre col dubbio di non essere stati molto chiari?

Quello che mi fa incazzare, perché se non fosse chiaro mi sono veramente incazzata a leggere "Il sigillo del vento", è che ogni tanto emergono dei brani belli, spontanei, con un ritmo piacevole, infilati in mezzo a pagine intere di narrazione fastidiosa. Sì, fastidioso è il termine corretto. Perché le parole e il ritmo non assecondano assolutamente ciò che viene narrato. L'autore utilizza termini troppo leggeri per sentimenti profondi e laceranti ("il dispiacere di perdere per sempre i suoi figli") oppure estremi (come "odio") per contesti invece passeggeri. Vengono spese intere pagine per momenti di passaggio e dialoghi a volte inutili, mentre l'intero climax di una situazione dominante viene bruciato in mezza pagina.

Allo stesso modo, ogni tanto sono presenti degli spunti veramente interessanti, elementi carini e divertenti, passaggi nella storia per niente banali, eppure l'originalità viene velocemente sacrificata sotto il macigno della banalità. Non mi lamento dell'eroe dal passato oscuro che sente di volersi riscattare (non c'è niente di male a utilizzare un archetipo come base del proprio lavoro), ma delle frasi scontate, dei passaggi obbligati affinché la storia prosegua in una certa direzione, dei dialoghi senza senso che servono soltanto a propinare al lettore il monologo del cattivone che deve raccontare la propria filosofia di vita.

Eppure, perché dopo tutto questo, dopo aver lanciato il libro sul pavimento arrivata all'ultima pagina, penso di non aver perso tempo a leggerlo?
Perché questo libro mi ha insegnato molto. Mi ha fatto vedere che cosa non va anche nel mio modo di scrivere, così simile a quello di Ceretoli se ripenso ai miei racconti di neanche tanto tempo fa.
Mi ha reso più vigile di fronte a facili scivolate di chi ancora non è un professionista e vorrebbe colmare le lacune con piccoli guizzi di bravura. Ma quanto la tecnica manca, bisogna solo mettersi a testa bassa e imparare, imparare, imparare (e per favore mandate a cagare la Strazzulla la prossima volta che si permette di fare certe affermazioni).
Per questo motivo mi voglio fidare dell'editore che mi ha garantito come il secondo libro della trilogia sia in effetti più maturo e curato.
Ribadisco, se mi sono incazzata leggendo il libro, non è stato nei confronti dell'autore (che tra l'altro ha appena accettato la mia amicizia su facebook e quindi ora può insultarmi direttamente!) né con l'editore, ma soltanto perché mi ha frustrata leggere un romanzo scritto in quel modo.
Non posso non considerare che "Il sigillo del vento" è il primo romanzo fantasy di Ceretoli come il primo romanzo della linea fantasy edita dalla Asengard. C'è sempre spazio per crescere e migliorarsi, per cui ho intenzione di leggere senza paranoia e pregiudizi il seguito.

Ecco, da tutto questo sento emergere una nuova esigenza, ovvero il confronto diretto. Mi farebbe piacere poter parlare con Ceretoli e con altri autori italiani di scrittura. Ma non nei salotti chiusi dei forum dove bazzicano solo gli interessati. Mi piacerebbe un bel confronto aperto su "campo neutro".
Chissà che NovAtlantis non servirà anche a questo. :)

giovedì 17 dicembre 2009

Robert M. Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta


Ci sono libri talmente pregni di concetto da non poter essere trasposti in film, nonostante la storia sia in qualche modo raccontabile sullo schermo. O meglio, diciamo che un film lo si potrebbe anche fare, ma sarebbe un pallidissimo riflesso di ciò che il testo racconta.
Questo romanzo mette insieme narrativa, autobiografia e discussione filosofica in un impasto talmente omogeneo da non poter distinguere dove finisce la competenza di un genere e ne inizia un'altra.
Robert Pirsig racconta di un viaggio in motocicletta con suo figlio (ancora ragazzino) e una coppia di amici, ma racconta anche se stesso, il suo passato a volte ricordato a volte ricostruito, racconta la nascita di una filosofia, il percorso che questa segue dal primo germe inconsapevole alla forma complessa finale (ma mai definitiva).
Devo ammetterlo: è uno dei libri più affascinanti che abbia mai letto e Pirsig è eccezionale sia come autore che come insegnante.
Ha uno stile eccezionale, è capace di tenerti incollato una pagina dopo l'altra con la stessa abilità di un maestro dei thriller. E non ti rendi conto che ciò che desideri con tutte le tue forze è di seguire il filo dei suoi pensieri, srotolarlo insieme a lui per carpire piano piano il disegno segreto di quel qualcosa che sappiamo ma allo stesso tempo non sappiamo descrivere.
E in tutto questo non fa che propinare una lezione di filosofia e storia delle filosofie in un modo talmente appetibile che nessuno si sentirà uno studente frustrato.
La cosa sorprendente non è che presenta sia uno stile che un contenuto di buon livello: non c'è separazione fra le due cose! La qualità (parola che credo imparerete ad amare leggendo il romanzo) è insita nella forma, nel contenuto e nei concetti stessi. Tutto parla di qualità attraverso la qualità.

Ho intenzione di regalare questo libro a mio padre per Natale. Credo che apprezzerà. E' una persona molto cerebrale (a volte forse troppo!) e, cosa che non guasta, ha una bella passione per le moto.
Stavo infatti quasi per dimenticare che oltretutto è una piacevolissima lettura per chi ha fatto almeno un giro in moto abbastanza lungo per fermarsi col culo piatto e le ossa doloranti. Ci sono sensazioni che salgono alla mente immediate e fresche.

Diciamolo: è uno di quei libri che mi sento di definire un capolavoro. Non un capolavoro letterario in sé, ma un'opera straordinaria per una lettrice come me. Il valore relativo spesso va ben oltre quello assoluto, come i piccoli regali fatti col cuore.
Ecco, leggere questo libro è stato un piccolo ma stupendo regalo che mi sono fatta con tutto il cuore.

Piccolo riordino

Ho sistemato un po' i tag delle varie recensioni (non escludo un ulteriore rimaneggiamento per quanto riguarda i racconti), in modo da rendere più interessante la classificazione.
Ovviamente mi sono dovuta scontrare con la difficoltà di attribuire un genere ad alcuni testi che un genere decisamente non hanno. Volevo però rendere possibile la navigazione del blog secondo "ispirazione letteraria", per cui ho cercato di scegliere dei tag i più appropriati possibile.

Nei prossimi giorni continuerò a inserire recensioni, mentre per i racconti ci sarà da aspettare, visto che per le mani ho soltanto racconti lunghi. :)

martedì 1 dicembre 2009

Andrzej Jawień e Karol Wojtyla - La bottega dell'orefice


Ecco un libro che è stato prima di tutto il regalo di una persona cara, che ha voluto comunicarci attraverso di esso l'affetto e l'emozione con cui ha vissuto il nostro matrimonio.
Non sapevo assolutamente cosa aspettarmi, forse un saggio o un racconto breve, invece ecco che mi si presenta davanti una sceneggiatura teatrale.
Incuriosita (e assolutamente ignorante in materia!), ho attraversato le pagine a passo leggero e spedito.
Ci si rende subito conto che è uno di quei libri che puoi leggere tutto d'un fiato per non perdere l'empatia col testo, ma che puoi anche prendere a piene mani, una parola per volta, assaporandola e immergendoti in essa.
Non mi sono trovata particolarmente vicina ai protagonisti né ho potuto condividere del tutto il punto di vista degli autori, ma ho percepito ugualmente le emozioni e le riflessioni che hanno voluto offrire col lavoro della loro penna.

Di fatto, è un testo che mi ha commossa ma a tratti annoiata, emozionata ma in fondo fatta sentire distante. Mi sono sentita un po' disorientata da questa miscela di sensazioni. Di solito un libro o mi prende completamente oppure mi lascia pressoché indifferente.
Suppongo (ribadendo la mia ignoranza) che questo sia dovuto comunque al carattere forte e personale del testo, un'impronta che non lascia spazio a interpretazioni personali e non cede a compromessi col lettore tipici di quei libri che devono piacere a tutti.

Per quel che mi riguarda, più che il piacere della lettura (relativo) ho apprezzato il coinvolgimento emotivo.
Sarà che allora ero ancora felice di sposarmi! :p

martedì 17 novembre 2009

Frank Schätzing - Il quinto giorno


Dopo i piccoli saggi e i brevi romanzi più o meno correlati al tema marino, non poteva mancare questo mattone di mille e rotte pagine, consigliato (leggi imposto) per settimane dal sempre attento marito.
Ero fiduciosa di trovarmi di fronte a un capolavoro e non ne sono rimasta per nulla delusa.
Questo non toglie che non vi abbia trovato i suoi difetti: un'ecatombe di personaggi degna del miglior Martin, alcuni capitoli decisamente lunghi e pesanti (per quanto interessanti e ben scritti), quella sensazione di fastidio per un libro che sembra non finire mai, esternazioni ambientaliste al limite del banale, ripetitive e tutte uguali da un personaggio all'altro.
Ebbene sì, ci sono state sere in cui avrei voluto strappare via qualche decina di pagine per poter proseguire nella storia, invece di perdermi in deliziose ma assolutamente lentissime spiegazioni.
Ma questo è il rovescio della medaglia del lavoro mastodontico che l'autore ha affrontato per creare un romanzo denso di trama e di contenuti.
In realtà la mia parte scientifica si è crogiolata nelle dissertazioni più azzardate e nei collegamenti multidisciplinari inaspettati. Semplicemente la mia parte letteraria voleva arrivare al dunque!

E' quindi evidente come i difetti sopra citati siano in effetti "veniali" o forse più correttamente necessari all'insieme. Soltanto attraverso artifici narrativi come le domande di emeriti ignoranti in materia seguiti da accurate spiegazioni, o il trip mentale di una dei protagonisti verso la fine del libro, è stato possibile per l'autore approfondire argomenti che avrebbero invece supposto conoscenze pregresse da parte del lettore o, ancora peggio, pagine di anonime puntualizzazioni.

Ma al di là di tutto, ho trovato in questo testo un insegnamento esemplare, uno stile che sento di invidiare e, soprattutto, una capacità di documentazione a me sconosciuta.
Sono mesi che il pensiero di raccogliere una documentazione adeguata per i miei scritti mi perseguita e più leggo più mi rendo conto che non se ne può prescindere, a meno che non si voglia scrivere il solito libro colmo di lacune e pressapochismi. E non perché ognuno di noi deve per forza puntare a diventare l'autore da best seller internazionali, ma semplicemente perché è un rispetto dovuto al lettore, quello stesso lettore che pretendiamo legga (compri) i nostri libri rigettando i tanti romanzi superficiali (tirati via, mi permetto di dire) che affollano le nostre librerie.
Lasciare la responsabilità dell'educazione dei lettori in mano agli editori non è solo ridicolo (e non aggiungo altro), ma soprattutto scorretto. Siamo noi scrittori (e mi metto dentro alla categoria per una botta di auto compiacimento) a dover imparare a scrivere bene, per mostrare a chi abbiamo intorno come leggere bene.

venerdì 13 novembre 2009

L. Sprague de Camp - L'anello del tritone


Come preannunciato, eccomi a recensire un libro anch'esso emerso dalla polvere del tempo. Mi era stato consigliato come libro fantasy ad ambientazione sottomarina, ma in realtà, nonostante i richiami al mito atlantideo, non c'entra niente! Ma poco male. ;)

Siamo negli anni '50 e gli scrittori di fantascienza sono ormai a pieno regime. Si scrive di tutto e di più e la fantasia viene lasciata libera di scoprire scenari sempre più nuovi e sconvolgenti.
Ed ecco che uno dei più irriverenti autori di fantascienza decide di prendere in mano materiale eterogeneo legato al mito di Atlantide, alla mitologia greca e a chissà quale altro bacino di leggende, per dar vita a un romanzo che, perdonatemi il termine, è una perfetta presa per il culo sia delle tante teorie stravaganti su Atlantide che delle storie fantasy più tipiche (e spesso più banali).
In questo libro c'è veramente di tutto: dalla magia nera, alle amazzoni, alle divinità che mettono becco negli affari degli umani, alla maledetta profezia contro cui nessuno, nemmeno le divinità stesse, possono opporsi.

Il romanzo è cosparso di riferimenti letterari e mitologici, spesso coi nomi lasciati tal quali o leggermente storpiati.
Ci sono i canoni del fantasy più becero insieme a completi ribaltamenti dei più comuni cliché letterari del genere. I dialoghi a volte sono talmente beceri da far rabbrividire al pensiero che scrittori ben "più seri" abbiano prodotto risultati simili, in un contesto in cui l'ironia non era neanche accennata.

Non credo che leggerò altri libri di de Camp, a parte forse i saggi, in quanto il romanzo, anche se scritto bene, non è niente di particolarmente entusiasmante. E' però carino, scorrevole, divertente, e magari può dare spunti interessanti per chi volesse mettere in piedi una bella avventura per un gioco di ruolo in stile Conan (io non ho detto niente eh!).

giovedì 12 novembre 2009

L. Sprague de Camp - Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi


Ci sono libri che rimangono dimenticati nelle librerie per anni, acquistati chissà quando in chissà quale mercatino dell'usato. Non so dove mio marito abbia recuperato questo libro, sta di fatto che quando il mio delirio su Atlantide è arrivato al culmine, me l'ha piazzato in mano e ha detto "Leggi questo e smetti di rompere i c******!".
Sto scherzando ovviamente, ma di sicuro si è trattato di un ottimo input. Fantasticavo sul mito di Atlantide da un paio d'anni, da quando venni a conoscenza del contest "Archetipi", edito da La Tela Nera, che ha dato origine a un'antologia intitolata appunto "Archetipi" (che magari acquisterò, visto il mio interesse per l'argomento).
Da lì è cominciata una serie di elucubrazioni sul mito di Atlantide, su come ricavarne un racconto originale e di stampo fantascientifico.
Problema: ho una cultura quasi nulla sulla fantascienza (cosa che si può notare dal racconto inviato per il contest di "Sancuary").
Ed ecco quindi la necessità di approfondire l'argomento, cominciando a documentarmi da un libro abbastanza generico, così come avevo fatto per i Vichinghi (altro progetto per ora accantonato).

Non vi dico il mio stupore nel trovarmi di fronte a un testo del genere, scritto da un perfetto cinico dell'argomento, ma assolutamente geniale e con una cultura smisurata, non solo sulla mitologia, ma anche su geologia, storia e quant'altro.
Una mirabile ridicolizzazione delle teorie esoteriche, dei castelli di sabbia degli storici, delle strumentali interpretazioni di testi antichi.
Insomma, un libro talmente irriverente e scorrevole da somigliare a un romanzo, col risultato finale di aver dato una scorsa approfondita alle teorie più importanti e/o astruse sul mito di Atlantide, con tanto di riflessioni scientifiche (o forse sarebbe meglio dire razionali) allegate.

Mi è piaciuto talmente tanto, che dietro consiglio di un utente del forum Dragons' Lair, mi sono connessa al sito delle biblioteche della zona per cercare uno dei romanzi di de Camp (dopo aver scoperto essere uno dei più ironici scrittori di fantascienza), "L'anello del tritone". Ma di questo vi parlerò nel prossimo post. ;-)

mercoledì 11 novembre 2009

Semplicemente... news

Volevo intitolare questo post "A volte ritornano", ma mi suonava talmente tanto di già sentito che ho optato per un titolo più generico. ^^
Da tanti mesi non scrivo su questo blog e il motivo per cui torno a riempirlo proprio oggi è il post di gelostellato sul suo blog, nel quale mi nominava per un progetto che al momento occupa tutti i miei pensieri.

Partiamo dunque da qui!

Il progetto in questione si chiama NovAtlantis, è in corso di sviluppo in queste settimane e si spera di avere online la versione alpha (per i primi tester) entro la fine del mese.
NovAtlantis è un po' social network e un po' tool di scrittura collaborativa. Vuole essere una sintesi della comunicazione rapida dei primi con gli strumenti per la gestione di progetti fra più utenti.
Si occuperà dell'ambito del fantastico nel panorama italiano ed è indirizzato ai creativi, per fornire loro uno spazio adeguato in cui portare a termine i propri lavori, al pubblico interessato, che troverà materiale a tema in abbondanza organizzato in una rete di contenuti che ricalca le connessioni tra utenti dei più comuni SN, a editori e produttori, che avranno un comodo strumento per fare scouting.
Abbiamo trascorso 3 giorni della fiera di Lucca C&G a parlare con piccole case editrici e altri rappresentanti del mondo ludico e narrativo fantasy, e i feedback sono stati tutti entusiastici, molto più di quanto ci saremmo aspettati.
Per chi fosse interessato a seguire gli sviluppi da vicino, è on line un blog degli sviluppatori, con la possibilità di sottoscrivere i FEED e di iscriversi alla newsletter a cadenza settimanale.
E' inoltre presente una pagina su Facebook e un canale su Twitter.

Le altre due novità invece riguardano la produzione letteraria della sottoscritta, ormai ai minimi termini.

E' finalmente uscita l'antologia di autrici femminili dedicata ai Miti di Cthulhu, in cui è stato inserito anche un mio racconto.
La raccolta si chiama "Le figlie di Cthulhu" ed è edita dalla Dagon Press.
Sul blog di Studi Lovecraftiani potete leggere l'annuncio relativo al libro.

Infine, ma non meno importante, ho partecipato a un piccolo contest "fatto in casa" per scrivere l'ultima parte di un racconto a puntate finalizzato a pubblicizzare l'ultimo supplemento di Sine Requie.
Potete scaricare il file IV Reich: Il Gioco delle News dal sito della Serpentarium Game.

Insomma, sembra che non ho fatto nulla in questi mesi, invece ho trovato semplicemente altri modi per cazzeggiare! ;)

A ogni modo, ho una discreta intenzione di tornare su queste pagine, non tanto per pubblicare racconti che non sto scrivendo, ma per recensire (o meglio commentare) alcuni libri che mi sono capitati sotto mano in questo periodo. La novità più grande è infatti la ripresa della mia vita di lettrice, prima che quella di scrittrice. Mi sento profondamente ignorante nel campo letterario e sto assorbendo ogni pagina con avidità.
Mi piacerebbe riuscire a commentare alcuni di questi libri con qualche interessato, chissà se arriverà qualcuno a lurkare questo blog nei prossimi giorni. ;)

venerdì 10 aprile 2009

Erri De Luca - In nome della Madre


E' con ancora gli occhi lucidi dalla commozione che chiudo il libro e inizio a scrivere. Avevo iniziato a pensare come organizzare questa piccola recensione, ma voglio riversare le parole così come scaturiscono dai miei pensieri confusi ma lucidi.
Penso che i libri, certi libri, arrivino nella nostra vita al momento giusto, quando si crea dentro di noi uno spazio creato appositamente per accoglierli e farli nostri, assimilarli e rielaborarli. E così è per questo piccolo romanzo/omaggio a Maria, un regalo di Natale che è rimasto fino ad ora sul comodino, a pochi giorni da Pasqua.
Suona strano leggere il racconto di una gravidanza in prima persona scritto da un uomo, in effetti mi sono ritrovata più volte a pensare che una donna avrebbe descritto alcune emozioni in modo molto diverso. Ripensandoci, invece, credo che questa differenza di sentire appartenga a me nello specifico. Leggo di sensazioni riferite da tante donne, che sentono il rapporto col proprio figlio in modo elitario, un legame incondivisibile con chiunque altro, unico e privilegiato. Credo che non sarà così, non riesco a vivere questo pensiero come se fosse mio e mio soltanto, non mi appartiene e non è a mio uso e consumo. Non si può mascherare l'egoismo con la parola amore, non si può dire "mio" per qualcosa che non ci appartiene veramente, neanche la prima notte, neanche nel primo abbraccio, neanche prima quando si è un tutt'uno inscindibile. Forse il tempo e l'esperienza mi smentirà, non è una guerra d'opinione, è solo il mio sentire di "ora e qui".
E forse queste riflessioni sono veramente sbuffi di vapore di poco conto, se ogni parola di questo breve libro è riuscita a commuovermi e farmi sognare. E' una poesia lasciata scorrere in una prosa semplice, dalla punteggiatura imprecisa, così come i pensieri si susseguono senza ordine, nonostante i nostri sforzi. Il testo sembra caotico e trascurato, eppure si avverte che nulla è lasciato al caso, che parole, virgole e pause sono esattamente lì dove dovrebbero essere.
Ma al di là dei giudizi sulla forma, è un libro che non mi sentire di consigliare né sconsigliare a nessuno. Non lo si legge per passare il tempo o per farsi raccontare una bella storia. Quando l'ho aperto non mi aspettavo nulla, se non di guardarmi ancora una volta allo specchio, uno senza cornici e senza chiodi.

giovedì 2 aprile 2009

Frédéric Durand - I Vichinghi


Seguendo il filone di interesse per una cultura così lontana e così affascinante, ho letto l'ennesimo libro "documentario" sui Vichinghi.
Nonostante abbia l'aspetto di un prontuario sintetico, si è prestato molto bene alla lettura, nonostante lo stile un po' troppo arzigogolato dell'autore.
Ma se la forma non mi ha convinta del tutto, i contenuti sono andati incontro alla perfezione alle mie aspettative.
Avevo bisogno di documentarmi in modo pratico su alcuni aspetti della cultura nordica, al di là del mito e delle leggende, e questo testo mi ha soddisfatta in pieno.
Nella prima parte viene trattato l'aspetto prettamente storico, che mi aspettavo noioso e colmo soltanto di sterili nozioni, invece mi sono trovata a elaborare idee e immagini grazie a descrizioni sintetiche ma efficaci di una cultura sempre in movimento e in mutazione.
Ancora più entusiasmante il resto del libro, riguardante prettamente lo stile di vita e la cultura. Ho scoperto dettagli che non mi sarei mai aspettata e mentre scorrevo le ultime pagine, sono riuscita finalmente a mettere ordine ad alcune idee.
Insomma, consigliato a chi voglia una panoramica sintetica ma completa sull'argomento.

venerdì 6 marzo 2009

Rysern – L'inverno di giada

Dalla finestra filtrava un alone di luce funerea, ultimi rimasugli di un crepuscolo grigio e afoso. Jorbel inarcò la schiena fradicia di sudore, staccandola dalla tela della poltrona, nell'illusione di trovare un po' di sollievo, ma scoprendo di avere la maglietta appiccicata alla pelle. Allungò un braccio e ne pizzicò un lembo, tirando per scollarsela di dosso. Sbuffò di insofferenza e si alzò per prendere una birra fresca, gettando nel lavandino quella rimasta nella lattina che teneva in mano, ormai sgasata e calda come piscio.
Passando di fronte all'anta di vetro unto del mobiletto perennemente vuoto che avrebbe dovuto fungere da dispensa, si soffermò qualche secondo a osservare il riflesso del suo viso, stanco e privo di energia. Le borse sotto agli occhi sembravano sempre più pesanti e i capelli bianchi parevano moltiplicarsi di giorno in giorno. Era ormai convinto che allo scoccare del quarantesimo anno non gli sarebbe rimasto in testa un solo capello castano.
Si rigettò sulla poltrona, cercando di focalizzarsi sullo stupido programma televisivo che, a giudicare dalla scenografia, doveva essere costato un bel po' di soldi. Sorrise osservando i draghi di vetroresina, le fiammate di luce multicolore, l'abito argenteo della presentatrice ricamato a piccole scaglie, che dava l'impressione di un manto draconico lavorato dalla più pregiata industria conciaria gnomica. Peccato che le industrie gnomiche non potessero permettersi il lusso di lavorare al di fuori delle loro tane infognate nei cunicoli sottostanti la città.
Una smorfia di disgusto si sostituì all'espressione di insofferenza che il caldo aveva dipinto sul volto di Jorbel. Si ritrovò a riflettere ancora una volta sulle assurde limitazioni imposte a tutti, umani compresi, dalla cosiddetta civiltà di cui faceva parte. Le altre razze erano in possesso di conoscenze che avrebbero fatto compiere alla tecnologia aerospaziale un tale balzo in avanti da far impallidire i primi tentativi di viaggi interplanetari, ancora troppo difficoltosi e costosi. Se solo avesse potuto attingere direttamente alle risorse tecnologiche di nani, token, gnomi, sirdeni, ma soprattutto degli elfi, avrebbe potuto indirizzare la sua ricerca verso lidi un po' meno incerti delle azzardate ipotesi su cui si stava basando.

Un lampo lacerò la quiete della stanza ormai buia, costringendo Jorbel a ripararsi gli occhi con le mani. Non provò nemmeno l'impulso di allontanarsi; rimase semplicemente seduto, inchiodato alla poltrona come una grottesca e scomposta scultura. Riaprì le palpebre a fatica. Le dita ancora tremanti davanti al viso non gli permettevano di mettere a fuoco la scena che gli si era parata d'innanzi.
Quattro elfi, tutti vestiti con un lungo cappotto grigio dal colletto rigido, quasi a farsi beffe della canicola, erano in piedi di fronte a lui, con gli occhi verdi come gelida acqua di laguna fissi sul suo viso contratto in una smorfia di stupore e spavento. Uno degli elfi si distingueva per una ciocca argentea che spiccava sulla lunga capigliatura corvina, incorniciando il lato sinistro del viso. Un particolare quasi insignificante ma che lo investiva in qualche modo di un'autorità intrinseca. Fu però un altro a rapire completamente l'attenzione di Jorbel, per l'oggetto sconosciuto che impugnava come fosse un'arma, puntata proprio contro di lui.
Provò a balbettare qualche parola, mentre una calca inestricabile di sensazioni si faceva strada attraverso il suo corpo, strattonandolo tra lo stupore, la paura, fremiti di impazienza e l'atavico istinto di fuggire.
Fu l'elfo dalla ciocca color argento a prendere la parola, intonando le sillabe una dietro l'altra come una meccanica cantilena. Pareva stesse recitando una filastrocca imparata a memoria in una lingua evidentemente diversa dalla propria, forse addirittura sconosciuta.
- Il Dottor Jorbel Gullen?
- Sì, sono... - deglutì - sono io.
L'elfo parve soppesare la sua risposta, evidentemente cercando di capire il significato delle sue smozzicate parole. D'istinto, Jorbel mosse la testa su e giù, per rafforzare il concetto. L'elfo parve soddisfatto e diede un lieve colpetto sulla spalla del suo collega, che alzò leggermente il tiro dell'inquietante pistola.
- N-no, no! Aspettate un attimo! Che significa? Che volete?
Scosse le mani in un gesto tremante e sconnesso, mostrando i palmi in segno di resa. Balbettò qualche parola, poi trattenne il fiato quando i due elfi si guardarono esitanti negli occhi. Gli altri due erano rimasti immobili in silenzio e per Jorbel era come se non fossero mai esistiti, ma ecco che uno di loro fece un passo avanti. Il suo sguardo era quello di chi aveva afferrato la situazione e si accingeva a sbrogliare una matassa. Jorbel annuì fiducioso nella sua direzione, colmo di una speranza che non immaginava nemmeno lontanamente di possedere.
Li sentì parlare sommessamente nel loro linguaggio fluido e musicale. Poteva solo intuire la severità dell'argomento, ma avrebbe potuto benissimo essere un poema che narrava di eventi favolosi e romantici, tanto le parole scivolavano leggere come veli di seta nell'aria. Quando l'elfo che pareva averlo graziato si rivolse a lui, Jorbel percepì lo sforzo e il disgusto che quell'essere stava sopportando pur di farsi comprendere. Si sentì profondamente in imbarazzo tanto gli sembrò rozza la propria lingua rispetto a quella elfica.
- Dottor Gullen, forse c'è stato un malinteso.
- Che genere di malinteso? - chiese con diffidente sottomissione.
- Cosa sa lei del progetto “Rysern”?
- Progetto “Rysern”? Non credo di averne mai sentito parlare...
Jorbel rimase pensieroso, sinceramente concentrato su quella parola che non riusciva a evocargli nulla di significativo.
- Dottor Gullen, ne è sicuro?
Lo sguardo dell'elfo assunse un'espressione dubbiosa e la domanda suonò tremendamente retorica. Jorbel era certo che se avesse mentito, non solo se ne sarebbe accorto, ma probabilmente avrebbe revocato la grazia appena concessa.
- Non ho veramente idea di che cosa stiate parlando - rispose col tono più arrendevole di cui era capace.
- Allora forse ci siamo veramente sbagliati. In effetti, - aggiunse sornione - lei non ha l'espressione di chi sta lavorando a un progetto a danno della nostra razza.
- Assolutamente no! Non potrei neanche lontanamente pensare a un tale progetto.
Sollevato e fiducioso, tentò quindi di giocarsi la sua carta migliore:
- Non avete idea di quanto ammiri voi elfi, sul serio! Ho sempre portato avanti i miei studi ispirandomi alla vostra tecnologia, così elegante e funzionale, e soprattutto...
L'elfo lo bloccò con un gesto della mano:
- Non importa dottor Gullen, abbiamo compreso, non serve che ci aduliate in questo modo.
- No, no, mi state fraintendendo! Sul serio, ho sempre pensato a voi come gli unici ad aver raggiunto la sintesi armonica di scienza e arte, creando una forma di tecnologia che noi non ci sogniamo neanche lontanamente.
L'elfo si mostrò sinceramente sorpreso e parve ammorbidirsi, sorridendo a Jorbel e rivolgendosi a lui con una nota di dolcezza nella voce. Per un istante Jorbel ebbe l'impressione che gli stesse parlando in elfico. Si avvicinò alla poltrona vuota di fianco a quella di Jorbel, si sedette e gli sorrise.
- A questo punto, dottor Gullen, sono curioso. Su cosa sta lavorando?
Jorbel non aspettava altro dal primo giorno in cui aveva messo piede nei laboratori della facoltà di ingegneria aerospaziale, ma mai avrebbe osato sperarlo veramente. Con la coda dell'occhio notò gli altri elfi che si accomodavano sulle sedie attorno al tavolo da pranzo e si vergognò dello squallore della sua abitazione. Dissimulando l'imbarazzo, si costrinse a fissare gli occhi verde giada dell'elfo che si era seduto accanto a lui.
- A dire il vero sto studiando una nuova teoria per i viaggi interstellari.
- Davvero? La vostra tecnologia è ancora indietro, arrivate a malapena ai pianeti più vicini e non con poche difficoltà. E ormai gran parte delle vostre teorie sono state accantonate o ritenute impraticabili allo stato attuale delle cose.
- Ho elaborato un'ipotesi che a quanto pare ci permetterebbe di sorvolare sulla gran parte dei dilemmi teorici e degli impedimenti tecnici.
- Dev'essere qualcosa di assolutamente nuovo allora. Su cosa si basa la vostra teoria dunque?
- Sul semplice fatto che voi elfi viaggiate senza problemi nello spazio e, sospetto, nel tempo.
L'elfo si irrigidì. Parve soppesare l'ultima frase in cui Jorbel pareva aver riversato tutta la sua soddisfazione per il risultato intellettuale a cui era giunto. Tornò a sorridere, rilassandosi appena sulla poltrona.
- Ma dottor Gullen, noi abbiamo la magia.
- Esattamente! Io voglio utilizzare la magia, esattamente come fate voi.
Il sorriso che gli si stampò in faccia lasciava trasparire una determinazione che lasciò l'elfo senza parole. Vedendo che questi rimaneva con lo sguardo fisso su di lui, Jorbel pensò di aver detto una parola di troppo. Cercò quindi di giustificarsi:
- In realtà, non intendevo dire esattamente come voi, ma piuttosto ispirarmi al modo in cui voi utilizzate la magia per ampliare le potenzialità della tecnologia, facendo, per così dire, chiudere un occhio alla natura e alle leggi della fisica.
L'elfo non perse l'espressione interdetta, ma si mostrò comunque interessato al discorso del ricercatore.
- Perdoni la mia domanda forse irrispettosa nei suoi confronti, ma in che modo pensa di poter attingere alla magia? Lei non è certo uno studioso di arti magiche, tanto meno mi sembra dotato di potere innato, cosa non frequente, ma nemmeno impossibile.
- E' qui che viene il bello! - Jorbel sobbalzò sulla poltrona, quasi a voler spiccare un salto verso il cielo tanto agognato. - Credo di aver trovato un modo per utilizzare la magia senza conoscerla o possederla intrinsecamente. Vedete, ogni qualvolta si attinge a una fonte di potere, che sia esterna o congenita, soltanto una parte dell'energia viene sprigionata come effetto magico, mentre una quantità indefinita viene dispersa. Anche la magia, in sostanza, è sottoposta alla dura legge del rendimento, e per quanto si possa aver affinato la propria arte, sarà comunque impossibile sfruttare l'energia nella sua totalità. Se il calore non può però essere recuperato, se non in minima parte, è invece possibile farlo con l'energia magica. Ora, io credo di sapere come effettuare questo procedimento e i primi risultati sono senz'altro incoraggianti.
Nella stanza calò un silenzio imbarazzato. L'elfo osservava Jorbel con uno sguardo gelido, nonostante il sorriso non fosse scomparso dal suo volto. Sembrava che stesse cercando di leggergli la mente, alla ricerca di una parvenza di veridicità nelle sue parole.
- Io, ecco... mi rendo conto che possa suonare assurdo, ma vi posso assicurare che ci sono ampi margini di successo.
- Mi perdoni dottor Gullen, ma non vedo proprio come sia possibile. Lei è convinto che noi elfi integriamo le conoscenze tecnologiche con quelle magiche, ma le assicuro che è in grave errore. Ciò che noi rendiamo possibile evadendo le leggi naturali è dovuto soltanto a un uso accurato e sapiente dell'arte magica. La nostra tecnologia non c'entra nulla. Sarà forse differente da quella di uso comune, ma non basterebbe di certo a raggiungere risultati tanto eclatanti.
Jorbel parve disorientato. Erano mesi che lavorava a quel progetto, anni interi che vi ragionava sopra, e tutti i conti sembravano tornare, come anche i risultati dei primi esperimenti. Tentò qualche balbettante parola di riscossa, ma gli uscì dalla gola soltanto un verso soffocato, mentre il volto era ormai immerso in un torrido bagno di sudore.
L'elfo venne in suo aiuto:
- Per carità, non mi fraintenda, non sto dicendo che il suo lavoro è del tutto inutile, probabilmente parte della teoria potrebbe essere riciclabile, ma così com'è parrebbe posta su un presupposto del tutto errato. Mi piacerebbe molto rimanere qui per approfondire l'argomento, sono molto attratto dal metodo di lavoro che adottate nei vostri laboratori, ma suppongo che i miei compagni di viaggio stiano esaurendo la pazienza.
Si voltò indietro, come a voler controllare di persona se fossero effettivamente contrariati per la lunga attesa. I loro volti glaciali e senza espressione sembravano il ritratto dell'inverno più spietato e forse durante le ere glaciali l'intero pianeta aveva assunto gli stessi riflessi freddi e scintillanti di quegli occhi, che risplendevano sulla loro pelle evanescente come gocce di giada incastonate su cammei d'avorio.
Qualche breve parola risuonò tra loro e Jorbel ne carpì ancora una volta soltanto il suono, brevi stralci di un salmodiare dal sapore ancestrale.
L'elfo si voltò nuovamente verso di lui, sempre sorridendo:
- A quanto pare non avevo torto. Ma la discussione mi interessa oltremodo, per cui, se non le dispiace, rimarrei qui per portarla avanti, mentre i miei colleghi torneranno ai loro impegni.
Gli occhi di Jorbel brillarono di soddisfazione, mentre gli altri tre elfi si alzavano lentamente e si avvicinavano al centro della stanza. Uno di loro, quello col ciuffo di capelli argentati, intonò un salmo dal tono decisamente più incisivo e un disco luminoso apparve di fronte a loro, simile a un fluttuante specchio di energia lattiginosa. Le creature accennarono un saluto, più diretto al loro compagno che a Jorbel, rimasto imbambolato, lo sguardo adorante, davanti a quel prodigio della razza elfica. Uno dopo l'altro entrarono nel disco, sparendo dalla stanza e chiudendo il portale dopo il passaggio del terzo viaggiatore.
- E' spettacolare - sibilò Jorbel con un raschio in gola per l'emozione.
- No, dottor Gullen, è semplicemente magia, proprio ciò di cui stavamo parlando prima. Mi vorrebbe veramente far credere di essere in grado di riprodurre un effetto simile soltanto incanalando l'energia magica in qualche astruso macchinario?
La domanda dell'elfo, benché dal tono retorico, non era affatto beffarda o supponente. Sembrava sinceramente colpito dalle affermazioni di Jorbel, curioso e scettico allo stesso tempo.
- A dire il vero, ora mi sento un po' confuso. Eppure sono convinto che se mi lasciasse spiegare, potrebbe vedere coi suoi occhi quanto la teoria non sia campata in aria.
- Guardi, per quanto possa suonare poco ortodosso alle orecchie dei puristi, devo confessarle che se la struttura del progetto è veramente valida come sostiene, potrei indirizzarla meglio nelle sue ricerche, in modo da raddrizzare la rotta e giungere a un risultato concreto.
Jorbel gongolava, non avrebbe mai potuto sperare in un tale aiuto. Si alzò di scatto, scusandosi per l'agitazione, recuperò alcuni fogli di malacopia e una matita da sopra il tavolo e tornò a sedersi al suo posto. Avvicinò il tavolino e si appoggiò sul ripiano di vetro ricoperto di impronte e polvere. Cominciò a vergare schemi con tratti brevi e nervosi, mentre la spiegazione fluiva sciolta e ordinata.
Man mano che l'uomo esponeva la sua teoria l'elfo, sempre più ricettivo, si sporse sugli schemi, tanto che le teste dei due vennero a trovarsi a pochi centimetri l'una dall'altra. Quando Jorbel alzò lo sguardo per sincerarsi che il suo interlocutore lo stesse seguendo adeguatamente, si ritrovò a fissare il verde dei suoi occhi. Ne rimase talmente intimidito da riabbassare subito lo sguardo e continuare l'esposizione del progetto. Impiegò quasi un'ora per terminare la lunga discussione comprensiva di premesse e note aggiuntive, ma infine si sentì decisamente soddisfatto per il risultato. Anche l'elfo sembrava dello stesso parere, tanto i suoi occhi brillavano.
- E' stupefacente dottor Gullen, veramente un ottimo lavoro. Voglio sperare che i disegni originali siano ben custoditi e lontani da sguardi indiscreti.
- Non si preoccupi per questo, ho preso tutte le precauzioni del caso. Nessuno vi può accedere tranne il sottoscritto.
L'elfo sorrise con slancio e disse qualche parola nella sua lingua, forse un apprezzamento sovrappensiero, ma quando i suoi tre compagni comparvero improvvisamente al centro della stanza, nel punto esatto dove Jorbel li aveva visti imboccare il portale, gli fu chiaro che non se ne erano mai andati.
L'elfo di fianco a lui fece un lieve cenno del capo a quello armato, che alzò lo strumento sconosciuto in direzione dell'umano.

La ricerca fu lunga e infruttuosa. I quattro elfi avevano frugato ogni angolo della casa, tirandone fuori ogni sorta di appunti, libercoli e notazioni sul teletrasporto elfico e relative ipotesi di funzionamento. Erano arrivati al dottor Gullen durante la loro incessante indagine alla ricerca della scia di una fuga di notizie riguardo al progetto “Rysern” e si erano trovati di fronte un ricercatore che era riuscito a intuire il segreto della loro tecnologia. Gli elfi avevano sempre agito in modo da lasciar intendere che fosse soltanto la magia a permettere loro di utilizzare forme di teletrasporto anche su distanze enormi e mai si sarebbero aspettati che un umano avrebbe compreso la complessa integrazione con conoscenze scientifiche avanzate. Sapevano però che gli umani sarebbero giunti prima o poi a comprendere le dinamiche del viaggio interstellare e per questo avevano dato inizio a “Rysern”, l'Inverno di Giada, un progetto finalizzato a mantenere il livello tecnologico degli uomini sempre a un passo di distanza dalla scoperta definitiva o dalla realizzazione di un'ipotesi funzionante.
Individuavano le piste da seguire grazie a elaborate divinazioni in cui emergevano i nomi di coloro che potevano compromettere la sicurezza delle comunità elfiche dislocate in luoghi troppo lontani perché le semplici astronavi umane potessero giungervi. Una volta che una pista era verificata, non rimaneva altro da fare che eliminare ogni possibilità di sviluppo. Fino a quel momento però si erano scontrati soltanto con teorie campate per aria o troppo complesse per vederle realizzate entro periodi ragionevolmente brevi. Inoltre la minaccia di morte era più che sufficiente per ricavare facili confessioni.
Il dottor Gullen era stato una sorpresa. Stavano per lasciarlo nel suo salotto squallido, con ancora la bocca spalancata per lo stupore, quando si erano trovati di fronte a una delle teorie più azzardate ma più concrete che avessero mai ascoltato. Il rischio che i suoi studi andassero in porto era decisamente troppo elevato.
Si avvicinarono al cadavere seduto sulla poltrona con la testa piegata da un lato e lo sguardo vitreo perso nel vuoto. L'elfo dal ciuffo argenteo gli posò una mano sulla fronte coperta di fredde perle di sudore e lasciò la vagare propria mente nei ricordi del morto. Non trovò alcun riferimento a disegni o scritti lasciati dal dottor Gullen e sollevò la mano dalla sua fronte con una smorfia di disappunto. Uno dei suoi compagni si caricò in spalla il cadavere e seguì gli altri nel portale luminoso che era stato aperto al centro della stanza. Uno dopo l'altro attraversarono la soglia di luce eburnea, lasciando dietro di sé un mucchio di fogli bianchi e una matita dalla punta consumata.

Partecipante al concorso "Sanctuary" per la Asengard Edizioni.