martedì 17 novembre 2009

Frank Schätzing - Il quinto giorno


Dopo i piccoli saggi e i brevi romanzi più o meno correlati al tema marino, non poteva mancare questo mattone di mille e rotte pagine, consigliato (leggi imposto) per settimane dal sempre attento marito.
Ero fiduciosa di trovarmi di fronte a un capolavoro e non ne sono rimasta per nulla delusa.
Questo non toglie che non vi abbia trovato i suoi difetti: un'ecatombe di personaggi degna del miglior Martin, alcuni capitoli decisamente lunghi e pesanti (per quanto interessanti e ben scritti), quella sensazione di fastidio per un libro che sembra non finire mai, esternazioni ambientaliste al limite del banale, ripetitive e tutte uguali da un personaggio all'altro.
Ebbene sì, ci sono state sere in cui avrei voluto strappare via qualche decina di pagine per poter proseguire nella storia, invece di perdermi in deliziose ma assolutamente lentissime spiegazioni.
Ma questo è il rovescio della medaglia del lavoro mastodontico che l'autore ha affrontato per creare un romanzo denso di trama e di contenuti.
In realtà la mia parte scientifica si è crogiolata nelle dissertazioni più azzardate e nei collegamenti multidisciplinari inaspettati. Semplicemente la mia parte letteraria voleva arrivare al dunque!

E' quindi evidente come i difetti sopra citati siano in effetti "veniali" o forse più correttamente necessari all'insieme. Soltanto attraverso artifici narrativi come le domande di emeriti ignoranti in materia seguiti da accurate spiegazioni, o il trip mentale di una dei protagonisti verso la fine del libro, è stato possibile per l'autore approfondire argomenti che avrebbero invece supposto conoscenze pregresse da parte del lettore o, ancora peggio, pagine di anonime puntualizzazioni.

Ma al di là di tutto, ho trovato in questo testo un insegnamento esemplare, uno stile che sento di invidiare e, soprattutto, una capacità di documentazione a me sconosciuta.
Sono mesi che il pensiero di raccogliere una documentazione adeguata per i miei scritti mi perseguita e più leggo più mi rendo conto che non se ne può prescindere, a meno che non si voglia scrivere il solito libro colmo di lacune e pressapochismi. E non perché ognuno di noi deve per forza puntare a diventare l'autore da best seller internazionali, ma semplicemente perché è un rispetto dovuto al lettore, quello stesso lettore che pretendiamo legga (compri) i nostri libri rigettando i tanti romanzi superficiali (tirati via, mi permetto di dire) che affollano le nostre librerie.
Lasciare la responsabilità dell'educazione dei lettori in mano agli editori non è solo ridicolo (e non aggiungo altro), ma soprattutto scorretto. Siamo noi scrittori (e mi metto dentro alla categoria per una botta di auto compiacimento) a dover imparare a scrivere bene, per mostrare a chi abbiamo intorno come leggere bene.

1 commento:

Paolo ha detto...

PLAUSO, PLAUSO, PLAUSO!!!
Amo questi affronti alla faccia delle istituzioni "letterarie" e mi compiaccio di trovare sempre una criticità sana ed equilibrata, che riesce a lasciar raffreddare gli entusiasmi come le crisi di rigetto.

Good!!!