mercoledì 15 settembre 2010

Robert L. Stevenson - La freccia nera

Troppo spesso tendo purtroppo ad associare l'idea del romanzo d'avventura al racconto fantastico. Inoltre, per mia deformazione scolastica, sono portata a tenere a distanza i romanzi storici, perché da brava capra in materia mi sento sempre sopraffatta dalla presenza di nomi, date e relazioni a me ignoti. Questa volta, dietro spassionato consiglio (arrivato dopo aver aperto e richiuso alla seconda pagina l'ennesimo fantasy ribollente di banalità), ho messo da parte ogni remora e mi sono tuffata tra le pagine di questo testo.
Complici le lunghe ore di inattività dovute alla cura del pupo, la lettura è stata intensiva e scorrevole, fin troppo. Perché mi tocca ammetterlo, è stato uno di quei libri che è finito troppo presto.
Lo stile di Stevenson è talmente piacevole, curato, ironico, ritmato, che la narrazione è un flusso senza interruzione, una corrente che porta la mente con sé lungo corsi imprevedibili.
La storia ricalca con qualche variazione sul tema quella di Robin Hood (anche se in rete non ho trovato alcun riferimento su un'ipotetica ispirazione) e possiede lo stesso sapore avventuroso del Robin di Costner come l'atmosfera giocosa da fiaba del film della Disney: insomma, il meglio dei due mondi, con l'indubbio vantaggio che Stevenson è arrivato un pelino prima! E, per quanto sembri sempre la stessa storia, non la si percepisce mai come banale. I colpi di scena non mancano e non si riesce a mollare la presa sul libro.
Anche i personaggi e i rapporti interpersonali, per quanto possano apparire tali, non sono affatto archetipici. Gli equilibri mutano in continuazione e le convinzioni personali sono in perpetuo mutamento.
Sarà sì un racconto d'avventura, ma di qualità più che elevata. Chissà perché al giorno d'oggi generi come questi vengono spesso relegati al livello del dilettantismo più disperato. Non credo che un genere debba essere meno ricercato soltanto perché destinato a un pubblico giovane o magari poco esigente. Non dovrebbe esistere una letteratura di serie A e una di serie B, in quanto l'autore (come mi sono trovata ad affermare già in passato) dovrebbe sempre e comunque portare rispetto ai propri lettori, non fosse altro che questi sborsano (non pochi) soldi per mettere le mani sul prodotto finale.
E se per alcuni aspetti le colpe sono imputabili agli editori, la mediocrità dell'autore rimane sempre la discriminante principale.
Quindi vi darò lo stesso consiglio che è stato dato a me: se avete voglia di avventura, ma soprattutto se volete leggere un romanzo che vi darà la giusta misura di come deve essere scritta una storia di avventura, leggetevelo e sappiatemi dire.
E se avete problemi con la storia, testi come "La freccia nera" possono aiutarvi molto più di quanto possiate immaginare. Quanto meno la curiosità di andarvi a spulciare wikipedia per capirci qualcosa dovrebbe venirvi!

martedì 7 settembre 2010

George Orwell - 1984

NB: Pericolo spoiler!

Recensire un grande classico è sempre difficoltoso. Si rischia di cadere nella banalità del già detto o, per contro, di sparare a zero cedendo alla tentazione del giudizio contro corrente.
Già accostarsi a un romanzo che viene presentato come un capolavoro mette in moto una serie di pregiudizi sulla sua qualità: ci si aspettano grandi cose ma allo stesso tempo si affronta la lettura con uno spirito critico acuito.
Ecco uno dei pochi casi in cui il testo non solo ha mantenuto ogni promessa, ma l'ha addirittura superata.
Non avevo mai letto nulla di Orwell e non so se gli altri suoi lavori siano scritti con altrettanta maestria, ma sono rimasta profondamente colpita dalla qualità non solo della storia (già preannunciata), ma anche dello stile e della cura del contesto.
Nessun scivolone, nessuna caduta di stile. Già questo dovrebbe essere sufficiente per convincersi a leggerlo.
La stessa cura concessa alla lingua è stata inoltre posta nel dipingere il mondo in cui si muove la vicenda. Angosciante, schiacciante, senza un barlume di speranza all'orizzonte.
Nei giorni seguenti mi sono concessa un altro bellissimo classico, "La freccia nera" di Stevenson (di cui scriverò presto una recensione), e mentre mi godevo questa lettura leggera e scorrevole ho realizzato di quanto siamo abituati a seguire personaggi che, una disavventura dopo l'altra, hanno sempre una porta aperta in cui infilarsi, fosse anche quella della morte.
Invece in "1984" ogni speranza viene disattesa, a ogni disillusione ne segue un'altra, fino allo spiazzante finale, dove, al posto di una fine per quanto orribile e ignominiosa, non rimane altro che una desolazione vuotata di tutto.
Credo non ci si renda conto fino in fondo di quanto sia dolorosamente infame il mondo ricostruito da Orwell finché non lo mettiamo a confronto con gli altri contesti letterari a cui siamo abituati.
Inoltre, da presunta scrittrice (diciamo che ci ho provato e nulla di più), so quanto sia impossibile resistere alla tentazione di lasciare sempre quella famigerata porta aperta ai propri protagonisti e posso solo lontanamente immaginare lo sforzo di dare vita a dei personaggi destinati all'annichilimento e all'umiliazione più profonda.
Quando un autore arriva a sacrificare la propria creatura (cosa che, come King ci insegna in "On writing", è decisamente la più difficile per uno scrittore) per raggiungere uno scopo che sia ben oltre la mera narrazione, allora quell'obiettivo ha ricevuto tutta l'attenzione e il tributo che merita.
Inutile aggiungere considerazioni sull'analisi estremamente acuta e spiazzante dell'influenza che una lingua può avere sulla società o sulle motivazioni puramente economiche alla base di molte delle guerre moderne. Sono sicura che su tali argomenti il web pulluli di discussioni ben più accurate della mia.
Di certo, se il contesto volutamente portato agli estremi può rassicurare in qualche modo il lettore, che si illuderà (e ringrazierà) a ogni pagina di non vivere in una siffatta società, ci sono frasi, apparentemente innocue, che spazzeranno via qualunque senso di sicurezza.
Un piccolo esempio?
Il lavoro pesante, la cura della casa e dei bambini, le futili beghe coi vicini, il cinema, il calcio, la birra e soprattutto le scommesse, limitavano il loro orizzonte. Tenerli sotto controllo non era difficile.
[...] un po' di patriottismo primitivo al quale poter fare appello tutte le volte in cui era necessario fargli accettare un prolungamento dell'orario di lavoro o diminuire le razioni di qualcosa.
 Ricorda qualcosa? Triste ma vero, come cantavano i Metallica.