domenica 27 dicembre 2009

Mauro Saracino - La casa del demone


Questa volta scriverò la mia recensione prendendo spunto da quella scritta da Alessandro Girola sul suo blog: Recensione: La Casa del Demone (di Mauro Saracino). Qui potete trovare la trama e un commento che voglio integrare e, in parte, controbattere.

Riguardo ai pregi, sono in buona parte d'accordo con Alessandro.
Lo stile di Mauro è molto piacevole. Il romanzo scorre veloce e diverte senza cadute di ritmo notevoli. Non c'è mai una frase di troppo, mai una descrizione non funzionale, buttata lì per allungare il brodo.
Soltanto nella parte centrale ho accusato un calo di tono. Se fino a quel momento sembra quasi un racconto in prima persona, tanto il punto di vista è centrato sul protagonista, poi l'inserimento di altri personaggi e una maggiore complessità della trama portano il lettore a distaccarsi, a subire la parte dello spettatore passivo invece che quella del "compagno spirituale" del protagonista. E' soprattutto l'approfondimento dell'ambientazione a rendere pesante questa parte, che peraltro non fornisce tutte le spiegazioni necessarie a comprendere a fondo alcune dinamiche del contesto narrativo.
La narrazione ricomincia poi a scorrere, anche se l'effetto iniziale è irrimediabilmente perduto a causa della compresenza di più personaggi.

Un punto su cui invece ho trovato discordanze notevoli leggendo i commenti di vari lettori riguarda la trama. Ammetto di essere una scarsa lettrice di horror (con alle spalle pochi romanzi e racconti di King e poco altro), ma "La casa del demone" mi ha divertita tantissimo, ha saputo creare quel sense of wonder di cui tanto si parla nella letteratura fantastica.
Probabilmente la mia sorpresa deriva proprio dalla mia scarsa cultura del genere, ma in ogni caso alcune pagine mi hanno spaventata e inorridita a sufficienza per ritenere questo libro un ottimo prodotto dell'horror nostrano (nonostante l'ambientazione estera).
I personaggi stessi sono stati una fonte di sorpresa. Il protagonista è eccezionale, il bestione rosso è altrettanto riuscito, così come il povero compagno di disavventure notturne, mentre altri mi sono sembrati un po' scialbi. Si potevano forse approfondire un po' senza per questo sacrificare il ritmo, anzi.

Riguardo ai tanti flashback, mi è sembrato un buon espediente quello di alternare i capitoli, in modo da aggiungere piccoli tasselli man mano che risultavano necessari per comprendere appieno la storia. Ma ritengo anch'io che alcuni di questi capitoli siano troppo lunghi, con dettagli a tratti eccessivi mentre alcune informazioni basilari continuano a latitare. Se da una parte viene mantenuta viva la curiosità del lettore su ben due fronti, dall'altro si rischia di distoglierlo troppo da uno dal filo conduttore principale della storia, mentre i flashback dovrebbero essere funzionali ad arricchire l'altra parte senza farla passare in secondo piano.

Non mi dispiace invece la "sequenza alla D&D". Una volta capito da che parte tirava il fumo, ho sfogliato le pagine stuzzicata dalla curiosità di scoprire cosa mi avrebbe riservato la stanza successiva! Ho terminato il libro alle 2 di notte dopo essere tornata dalla messa di mezzanotte di Natale. Non sarei mai potuta andare a letto senza sapere come andava a finire!

E una volta chiusa l'ultima pagina, sono rimasta letteralmente interdetta. Sospettavo un finale non consono, ma questo mi ha lasciata proprio senza parole e con un pelo di delusione. Per questo non ho potuto fare a meno di contattare l'autore per chiedergli se stesse veramente lavorando al secondo capitolo. Il fatto che sia già pronto e di prossima edizione mi può solo fare piacere. Non poteva mica finire così, eh!

Insomma, se non si fosse capito questo libro mi è piaciuto praticamente in toto. Vi ho trovato pochissimi difetti, molti dei quali appaiono in tutt'altra luce nell'ottica di una continuazione.
Per cui, rimango in attesa e rinnovo i miei complimenti a Mauro!

lunedì 21 dicembre 2009

Uberto Ceretoli - Il sigillo del vento


Comincio subito col dire una cosa: questo libro non mi è piaciuto. Non mi ha annoiata e non ritengo una perdita di tempo le serate trascorse a leggerlo, se è questo che state pensando.
Cercherò di spiegarvi perché lo ritengo un brutto libro e perché, allo stesso tempo, sono contenta di averlo letto.

Per una volta avrò un approccio abbastanza sistemico, perché vorrei riuscire a dare un panorama abbastanza ampio di un testo che ho analizzato sotto più punti di vista.
Sia chiaro, non voglio lanciarmi in alcuna critica letteraria feroce in stile Gamberi Fantasy, anche perché non ne avrei le capacità ma soprattutto l'intenzione. Premetto che non ce l'ho con l'autore né tantomeno con la casa editrice. Questo lavoro di analisi è servito a me per comprendere alcuni concetti sulla scrittura (buona E cattiva) e riporto il tutto qui perché magari qualcuno potrà trarne qualcosa di utile.

Allora cominciamo. Il primo impatto è un prologo dalle immagini poetiche e costruito con una similitudine dietro l'altra. La proprietà linguistica mi pareva buona, per cui ho ritenuto si trattasse di una scelta stilistica. Prima di arrivare alla fine della prima pagina, mi sono invece resa conto che l'autore ha fatto della similitudine un passe-partout. Ogni volta che deve descrivere qualcosa, ricorre a tale figura retorica. Mi sembra una brutta scelta: la similitudine ha un grande potere e va usata per colpire il lettore, non per costringerlo a continui paragoni mentali. Mi rendo conto che la tentazione di imbastire immagini di forte impatto sia sempre in agguato, ma bisogna saper rinunciare a una bella frase se è di troppo (sigh).

E' seguita una breve (brevissima) fase entusiastica in cui i cliché tipici del fantasy sembravano essere stati reinterpretati in modo furbo e originale. Mi è bastato andare avanti di poche pagine per rendermi conto che non solo tutti gli archetipi erano presenti senza molte variazioni, ma che il libro stava prendendo una piega decisamente spiacevole.
Di fatto, mi sono trovata a leggere la narrazione di una campagna di Dungeons and Dragons, cosa che non sarebbe male di per sé (ero in cerca di "becero fantasy" e D&D è il becero fantasy che mi piace!), ma quanto meno vorrei che fosse coerente e scritta bene.
Invece, non solo ho trovato incoerenze e assurdità vere e proprie (se un uomo-giaguaro ritiene un'umana poco attraente per via della diversità, perché mai un nano dovrebbe ritenere un'elfa la creatura più bella dell'intero universo?), ma ogni cosa sembrava tratta pari pari da un manuale di gioco.
Frasi come "incantesimo della palla di fuoco" e "lanciò su entrambi un incantesimo di levitazione", nani che pensano solo a cibo, birra e a incazzarsi con tutto e tutti, elfi belli, bravi e potentissimi, donne tutte bellissime e sensuali, ragazzini che imparano a combattere in un solo giorno di addestramento (soltanto in un caso questo viene giustificato) e via dicendo, tutto questo è un'accozzaglia di cose già viste e ritrite messe assieme senza ragionamento.
Molte frasi sono pressapochiste, le descrizioni sono costruite con una similitudine dietro l'altra e il lessico è generalista e poco incisivo, fatta eccezione per i campi in cui l'autore è esperto. In questi casi sciorina elenchi di termini specifici su armature e sistemi difensivi, per poi utilizzare parole del tutto generiche per tutto il resto. Stona talmente tanto che sarebbe stato meglio, a mio avviso, non scendere nel dettaglio neanche in quei contesti.

Riguardo allo stile, ho trovato invece irritante il sentirmi spiegare ogni singola cosa. Ogni dialogo è composto da una battuta in discorso diretto e relativa spiegazione, come se io lettore fossi troppo stupido per capire lo stato d'animo del personaggio che sta parlando. Forse l'autore ha paura di non essere stato troppo chiaro? Ma si possono scrivere 600 pagine sempre col dubbio di non essere stati molto chiari?

Quello che mi fa incazzare, perché se non fosse chiaro mi sono veramente incazzata a leggere "Il sigillo del vento", è che ogni tanto emergono dei brani belli, spontanei, con un ritmo piacevole, infilati in mezzo a pagine intere di narrazione fastidiosa. Sì, fastidioso è il termine corretto. Perché le parole e il ritmo non assecondano assolutamente ciò che viene narrato. L'autore utilizza termini troppo leggeri per sentimenti profondi e laceranti ("il dispiacere di perdere per sempre i suoi figli") oppure estremi (come "odio") per contesti invece passeggeri. Vengono spese intere pagine per momenti di passaggio e dialoghi a volte inutili, mentre l'intero climax di una situazione dominante viene bruciato in mezza pagina.

Allo stesso modo, ogni tanto sono presenti degli spunti veramente interessanti, elementi carini e divertenti, passaggi nella storia per niente banali, eppure l'originalità viene velocemente sacrificata sotto il macigno della banalità. Non mi lamento dell'eroe dal passato oscuro che sente di volersi riscattare (non c'è niente di male a utilizzare un archetipo come base del proprio lavoro), ma delle frasi scontate, dei passaggi obbligati affinché la storia prosegua in una certa direzione, dei dialoghi senza senso che servono soltanto a propinare al lettore il monologo del cattivone che deve raccontare la propria filosofia di vita.

Eppure, perché dopo tutto questo, dopo aver lanciato il libro sul pavimento arrivata all'ultima pagina, penso di non aver perso tempo a leggerlo?
Perché questo libro mi ha insegnato molto. Mi ha fatto vedere che cosa non va anche nel mio modo di scrivere, così simile a quello di Ceretoli se ripenso ai miei racconti di neanche tanto tempo fa.
Mi ha reso più vigile di fronte a facili scivolate di chi ancora non è un professionista e vorrebbe colmare le lacune con piccoli guizzi di bravura. Ma quanto la tecnica manca, bisogna solo mettersi a testa bassa e imparare, imparare, imparare (e per favore mandate a cagare la Strazzulla la prossima volta che si permette di fare certe affermazioni).
Per questo motivo mi voglio fidare dell'editore che mi ha garantito come il secondo libro della trilogia sia in effetti più maturo e curato.
Ribadisco, se mi sono incazzata leggendo il libro, non è stato nei confronti dell'autore (che tra l'altro ha appena accettato la mia amicizia su facebook e quindi ora può insultarmi direttamente!) né con l'editore, ma soltanto perché mi ha frustrata leggere un romanzo scritto in quel modo.
Non posso non considerare che "Il sigillo del vento" è il primo romanzo fantasy di Ceretoli come il primo romanzo della linea fantasy edita dalla Asengard. C'è sempre spazio per crescere e migliorarsi, per cui ho intenzione di leggere senza paranoia e pregiudizi il seguito.

Ecco, da tutto questo sento emergere una nuova esigenza, ovvero il confronto diretto. Mi farebbe piacere poter parlare con Ceretoli e con altri autori italiani di scrittura. Ma non nei salotti chiusi dei forum dove bazzicano solo gli interessati. Mi piacerebbe un bel confronto aperto su "campo neutro".
Chissà che NovAtlantis non servirà anche a questo. :)

giovedì 17 dicembre 2009

Robert M. Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta


Ci sono libri talmente pregni di concetto da non poter essere trasposti in film, nonostante la storia sia in qualche modo raccontabile sullo schermo. O meglio, diciamo che un film lo si potrebbe anche fare, ma sarebbe un pallidissimo riflesso di ciò che il testo racconta.
Questo romanzo mette insieme narrativa, autobiografia e discussione filosofica in un impasto talmente omogeneo da non poter distinguere dove finisce la competenza di un genere e ne inizia un'altra.
Robert Pirsig racconta di un viaggio in motocicletta con suo figlio (ancora ragazzino) e una coppia di amici, ma racconta anche se stesso, il suo passato a volte ricordato a volte ricostruito, racconta la nascita di una filosofia, il percorso che questa segue dal primo germe inconsapevole alla forma complessa finale (ma mai definitiva).
Devo ammetterlo: è uno dei libri più affascinanti che abbia mai letto e Pirsig è eccezionale sia come autore che come insegnante.
Ha uno stile eccezionale, è capace di tenerti incollato una pagina dopo l'altra con la stessa abilità di un maestro dei thriller. E non ti rendi conto che ciò che desideri con tutte le tue forze è di seguire il filo dei suoi pensieri, srotolarlo insieme a lui per carpire piano piano il disegno segreto di quel qualcosa che sappiamo ma allo stesso tempo non sappiamo descrivere.
E in tutto questo non fa che propinare una lezione di filosofia e storia delle filosofie in un modo talmente appetibile che nessuno si sentirà uno studente frustrato.
La cosa sorprendente non è che presenta sia uno stile che un contenuto di buon livello: non c'è separazione fra le due cose! La qualità (parola che credo imparerete ad amare leggendo il romanzo) è insita nella forma, nel contenuto e nei concetti stessi. Tutto parla di qualità attraverso la qualità.

Ho intenzione di regalare questo libro a mio padre per Natale. Credo che apprezzerà. E' una persona molto cerebrale (a volte forse troppo!) e, cosa che non guasta, ha una bella passione per le moto.
Stavo infatti quasi per dimenticare che oltretutto è una piacevolissima lettura per chi ha fatto almeno un giro in moto abbastanza lungo per fermarsi col culo piatto e le ossa doloranti. Ci sono sensazioni che salgono alla mente immediate e fresche.

Diciamolo: è uno di quei libri che mi sento di definire un capolavoro. Non un capolavoro letterario in sé, ma un'opera straordinaria per una lettrice come me. Il valore relativo spesso va ben oltre quello assoluto, come i piccoli regali fatti col cuore.
Ecco, leggere questo libro è stato un piccolo ma stupendo regalo che mi sono fatta con tutto il cuore.

Piccolo riordino

Ho sistemato un po' i tag delle varie recensioni (non escludo un ulteriore rimaneggiamento per quanto riguarda i racconti), in modo da rendere più interessante la classificazione.
Ovviamente mi sono dovuta scontrare con la difficoltà di attribuire un genere ad alcuni testi che un genere decisamente non hanno. Volevo però rendere possibile la navigazione del blog secondo "ispirazione letteraria", per cui ho cercato di scegliere dei tag i più appropriati possibile.

Nei prossimi giorni continuerò a inserire recensioni, mentre per i racconti ci sarà da aspettare, visto che per le mani ho soltanto racconti lunghi. :)

martedì 1 dicembre 2009

Andrzej Jawień e Karol Wojtyla - La bottega dell'orefice


Ecco un libro che è stato prima di tutto il regalo di una persona cara, che ha voluto comunicarci attraverso di esso l'affetto e l'emozione con cui ha vissuto il nostro matrimonio.
Non sapevo assolutamente cosa aspettarmi, forse un saggio o un racconto breve, invece ecco che mi si presenta davanti una sceneggiatura teatrale.
Incuriosita (e assolutamente ignorante in materia!), ho attraversato le pagine a passo leggero e spedito.
Ci si rende subito conto che è uno di quei libri che puoi leggere tutto d'un fiato per non perdere l'empatia col testo, ma che puoi anche prendere a piene mani, una parola per volta, assaporandola e immergendoti in essa.
Non mi sono trovata particolarmente vicina ai protagonisti né ho potuto condividere del tutto il punto di vista degli autori, ma ho percepito ugualmente le emozioni e le riflessioni che hanno voluto offrire col lavoro della loro penna.

Di fatto, è un testo che mi ha commossa ma a tratti annoiata, emozionata ma in fondo fatta sentire distante. Mi sono sentita un po' disorientata da questa miscela di sensazioni. Di solito un libro o mi prende completamente oppure mi lascia pressoché indifferente.
Suppongo (ribadendo la mia ignoranza) che questo sia dovuto comunque al carattere forte e personale del testo, un'impronta che non lascia spazio a interpretazioni personali e non cede a compromessi col lettore tipici di quei libri che devono piacere a tutti.

Per quel che mi riguarda, più che il piacere della lettura (relativo) ho apprezzato il coinvolgimento emotivo.
Sarà che allora ero ancora felice di sposarmi! :p